giovedì 8 novembre 2012

Il mito dell'Araba Fenice

 
Illustrazione di Laura Montanari
per Edizioni Miele
 
 


L’Araba Fenice  -  cenni storici

 

La fenice, spesso nota anche con l'epiteto di Araba fenice, era un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, che poi nelle leggende greche divenne la fenice. Uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d'oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume — una rosa ed una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata — una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco. In Egitto era solitamente raffigurata con la corona Atef o con l'emblema del disco solare.

 

La morte e resurrezione


Dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461/ 1468, o addirittura 12955/ 12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.

Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.

Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni (Plinio semplifica dicendo "entro la fine del giorno"), dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro,

«cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra»

- peraltro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio Shu.

Ma nella antica tradizione riportata da Erodoto, la fenice risorge ogni 500 anni, come riportato da Cheremone, filosofo stoico iniziato ai misteri egizi che parla di un <periodo solstiziale>, da Orapollo vissuto sotto Zenone (474-491) che -come sappiamo dal lessico Suida - diresse la scuola egizia a Menouthis, presso Alessandria, da Eliano di Preneste; la rinascita della fenice cela per tutti questi autori un periodo astronomico connesso alla resurrezione di Osiride. Già nel Capitolo 125 del Libro dei Morti, Osiride afferma di rinascere come fenice nella città di On (Heliopolis) sede di miti cosmologici; contestualmente, infatti, Osiride si identifica con il Duplice Leone nei nomi di Ieri e Domani, ovvero Osiride e Ra, simbolo esoterico preposto alle rinascite dei cicli solari. Orapollo palesa senza veli che la fenice è una delle manifestazioni del sole <dai molti occhi> come interpretato da Sbordone che riporta una grafia tarda del nome di Osiride costituita da un occhio e uno scettro. Da qui l'occhio della fenice inteso come l'illuminazione consapevole di Osiride che - sempre secondo Orapollo - rinascendo incarna <il rinnovamento ciclico degli astri> , intrinseco alla fiamma del <periodo solstiziale> della fenice riportato in un frammento di Cheremone.

La storia


Storicamente parlando, viene menzionata per la prima volta in un libro nell'esodo (VIII secolo AC). Uno dei primi resoconti dettagliati ce lo fa lo storico greco Erodoto circa due secoli dopo:

 
« Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l'ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poiché è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Heliopolis) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall'Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sé i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull'altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale (il cremisi: un rosso acceso). E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un'aquila. »

Proprio a questo resoconto di Erodoto, dobbiamo l'erronea denominazione di "Araba Fenice". Ovidio, nelle Metamorfosi, ci narra della fenice, uccello che giunto alla veneranda età di 500 anni, termine ultimo della vita concessagli, depone le sua membra in un nido di incenso e cannella costruito in cima ad una palma o a una una quercia, e spira. Dal suo corpo nasce poi un'altra fenice che, divenuta adulta, trasportò il nido nel tempio di Iperione, il Titano padre del dio Sole..

Ovidio dice:

 
« ... si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s'abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall'albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Heliopolis in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole. »

Eliopoli, dove i sacerdoti di Ra conservavano gli archivi dei tempi passati. In quest'ottica, la Fenice era il nuovo profeta/messia che "distruggeva" gli antichi testi sacri per far risorgere una nuova Religione dai resti della precedente.

Tacito arricchisce la storia, scrivendo che la giovane fenice solleva il corpo del proprio genitore morto fino a farlo bruciare nell'altare del Sole. Altri scrittori descrivono come la fenice morta si trasformi in un uovo, prima di essere portata verso il Sole.

 

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