lunedì 15 aprile 2013

analfabetismo di ritorno: la nuova minaccia italiana

Analfabetismo di ritorno: la nuova emergenza italiana

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Purtroppo, se oggi si dovesse giudicare l’Italia dal livello di padronanza dell’italiano saremmo davvero messi molto male. La salute della nostra lingua, infatti, sembra piuttosto allarmante, almeno a giudicare dai dati che Tullio De Mauro (tra i massimi linguisti italiani, ex ministro dell’Istruzione) ha illustrato qualche tempo fa durante un convegno.
Tra i numeri evocati da De Mauro e fondati su ricerche internazionali, ce ne sono alcuni particolarmente impressionanti: per esempio, quel 71 per cento della popolazione italiana che si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà. Al che corrisponde un misero 20 per cento che possiede le competenze minime «per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana». Basterebbero queste due percentuali per far scattare l’emergenza sociale. Perché di vera emergenza sociale si tratta, visto che il dominio della propria (sottolineato propria) lingua è un presupposto indispensabile per lo sviluppo culturale ed economico dell’individuo e della collettività.
Una nuova indagine evince che la maggior parte degli italiani a stento riesce a comprendere la posologia di un farmaco: il 5% non capisce quanto scritto sul bugiardino. La metà poi, non è in grado di discernere le informazioni su un foglio di istruzioni. Per non parlare di come montare il famoso mobile comprato da Ikea: il 33% di fronte a una pagina contenente più informazioni non è in grado di individuare la soluzione del problema. È il nuovo alfabetismo che avanza e che a differenza di quello classico di chi non sapeva né leggere né scrivere, si è fatto più subdolo: è quello di chi sa leggere, ma non comprende.
A misurare questo nuovo fenomeno è un’indagine dell’Ocse, denominata All, Adult Literacy and Life Skills. I test di prose literacy, così vengono chiamati, sono stati somministrati a persone di età compresa tra i 16 e i 65 anni, in sette paesi del mondo : Bermuda, Canada, Italia, Norvegia, Svizzera, Usa e Messico. Peggio di noi soltanto i messicani del Nuevo Leòn. Il rapporto è ancora parziale, ma i primi dati non sono certo rassicuranti.
Scientificamente si chiama analfabetismo funzionale e designa l’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana.
Oltre al tradizionale serbatoio di pensionati e casalinghe (attenzione: non vecchietti e vecchiette, visto che il target va dai 16 ai 65 anni), la fascia più vulnerabile è quella che include i disoccupati dai 26 ai 35 anni. Finita la scuola, le competenze tendono a diminuire, specie quando non vengono avviati nuovi processi di apprendimento legati al lavoro. E l’analfabetismo di ritorno minaccia di inghiottire le leve più giovani, proprio quelle a cui è affidato il futuro del paese.
Non bisognerebbe mai dimenticare che la conoscenza della lingua madre è il fondamento per lo studio delle altre discipline scolastiche e delle altre lingue (inglese compreso), così come è alla base della capacità di orientarsi nella società e di farsi valere nel mondo del lavoro. Sembrano constatazione banali, ma non lo sono affatto in un contesto in cui l’insegnamento dell’italiano nelle scuole soccombe all’anglofilia diffusa e la lettura, sul piano sociale, è nettamente sacrificata rispetto all’approccio visivo, comportando vere mutazioni psichico-cognitive.
Se ciò risulta vero, non è eccessivo affermare che l’emergenza culturale, nel nostro Paese, dovrebbe preoccupare almeno quanto quella economica.

link http://www.caffenews.it/mezzogiorno-sud/47971/analfabetismo-di-ritorno-la-nuova-emergenza-italiana/

Valter Giraudo